Social Cammy

Settimana scorsa il Primo ministro britannico David Cameron è nuovamente intervenuto sulla crisi economica con un discorso  nel quale ha esposto il suo pensiero social conservative – oltre che ad inaugurare il corso della Co-operatives Bill – e dove è tornato alla carica nel progetto di costruzione di una Big Society, il mantra della sua missione politica. Ha stressato il concetto di “free market” per garantirsi un volto conservatore, ma ha più volte ripetuto espressioni come “regolamentazione”, “regole”, “istituzioni”.

Il meccanismo economico, per Cameron, si è inevitabilmente inceppato, specie dopo una decade nel quale il governo laburista ha incoraggiato l’aumento del debito nazionale per sostenere i costi di un welfare state sempre più largo e invadente, ponendo i termini per uno stato interventista e raggiungendo un livello di spesa pubblica che “oggi non possiamo permetterci” e un modello di crescita economica “che non funziona”. La City invece di essere un centro di competizione e creatività è diventata “una sorta di magia finanziaria che ha lasciato i contribuenti con tutti i rischi e i pochi fortunati con tutte le ricompense”.

“C’è bisogno di nuove regole”, ha garantito Cameron. Occorre una nuova visione dell’insieme: da una responsabilità sociale che riconosca che gli uomini non sono soltanto individui atomizzati e che le compagnie abbiano delle obblighi, a un capitalismo genuinamente popolare. La Big Society, per l’appunto, è servita. Il guaio è che il progetto che ha in testa il Primo ministro inglese è in alcuni passaggi nebbioso, foggy: “Mentre c’è certamente un ruolo per il governo, per la regolamentazione, per l’intervento, la vera soluzione è più impresa, più competitività, più innovazione”. Con tutti i distinguo alla luce anche delle recenti rotture con l’Unione europea e della successiva precisazione (“now non of this should mean more regulation. It means less but better regulation”), par di ascoltare un ex commissario europeo che nella liberalizzazione dei taxi intravede parte di un’impennata dal Pil pari all’11%.

C’è comunque da rendere merito a Cameron di aver sottolineato, nel corso del suo intervento, l’attenzione posta dei conservatori alle questioni sociali nel corso degli anni, se non dei secoli, a dispetto della vulgata che li vuole brutti e cattivi: da Sir Robert Peel a Benjamin Disraeli, passando per William Pitt. La vera notizia è che in un discorso delicato e complesso come quello in questione oltre a citare Harold Macmillan, Cameron abbia ricordato Margaret Thatcher, ponendo finalmente termine al vizio di andare a ripescare articoli di Polly Toynbee (columnist del Guardian e figlia di intellettuale rigorosamente comunista)  piuttosto che guardare alla tradizione che gli ha consegnato il partito del quale è leader oggi.

468 ad