Intervista a James Delingpole

James Delingpole è «right about everything»: così si definisce l’autore inglese che abbiamo contattato per discutere dello stato di salute della galassia conservatrice/libertaria in questo particolare periodo storico, tra crisi economiche e d’identità. Classe ’65, è passato per Oxford dove ha conosciuto David Cameron e Boris Johnson, i volti più conosciuti del partito conservatore – e giura che ai tempi erano stati buoni amici. Scrive per il Telegraph e lo Spectator e pubblica libri: da “365 Ways to Drive a Liberal Crazy” a “Welcome to Obamaland: I Have Seen Your Future and It Doesn’t Work”. L’ultimo in ordine di tempo è “Watermelons: The Green Movement’s True Colors”, uscito l’anno scorso: verdi fuori, rossi dentro.

La conta

«Il grande problema con l’attuale crisi economica è che è stata definita dalle sirene liberal e della sinistra come la prova che il capitalismo abbia fallito», precisa per prima cosa Delingpole. «Ma se non c’è, il capitalismo non può fallire». Nel senso che «la nostra sfida come destra libertaria/per il libero mercato è spiegare la verità, che questo è un fallimento dello statalismo, della regolamentazione, del big government, in definitiva del continuo stampare moneta. Sarà dura perché il messaggio “il capitalismo ha fallito” è molto più facile che venga appreso dalle masse che finiscono per non comprendere la differenza tra capitalismo e corporativismo. Prevedo una lunga battaglia davanti a noi».

La battaglia dei conservatori/libertari può contare sulle truppe, meno sui generali: «Direi che la base, l’underground, è avanti rispetto alla classe politica, il che equivale a dire che le idee conservatrici raramente hanno avuto maggiore risonanza o sono state meglio espresse rispetto a quanto riescono a fare i politici, ora che c’è internet». Gli esempi sono diversi: «Lo vediamo negli Stati Uniti con le talk radio, nel Regno Unito per esempio con i blog del Daily Telegraph (qui quello di Delingpole). E certamente con i Tea Party che ne sono un’espressione. Lo si nota anche nella crescita di partiti come lo UKIP, del partito Veri finlandesi di Timo Soini e di carismatici esponenti di centrodestra come Pim Fortuyn». D’accordo, ma aggiunge Delingpole «quello che non stiamo vedendo è un partito propriamente conservatore al potere che faccia cose veramente conservatrici».

Tra UK e USA

Quindi nemmeno il primo ministro britannico David Cameron rientra nel gruppo e il giudizio è spietato: «Ha distrutto il partito conservatore. Il suo tentativo di “disintossicare il marchio” ha respinto quasi tutti i valori conservatori che ci sono. Non credo che sarà ricordato come un grande o buon leader dei Tory. Sarà visto come un architetto – manipolatore dedito al compromesso il cui unico vero obiettivo era quello di stare al comando il più lungo possibile». La situazione non è migliore negli Stati Uniti: «È quasi essenziale che i Repubblicani perdano le elezioni del 2012. I loro candidati sono così poveri che se qualcuno di loro dovesse vincere, avvelenerà le fonti del conservatorismo per almeno una decade. Meglio lasciare che Obama vinca nel 2012 e attendere per uno small-government conservative nel 2016. Rand Paul? Allen West? Sarah Palin?».

La situazione in Italia è diversa: c’è un governo tecnico, guidato da Mario Monti, che ha sostituito l’esecutivo Berlusconi che era nato dalle ultime elezioni parlamentari. Delingpole taglia corto: «Stavate meglio con Berlusconi. Molto meglio».

La crisi dello statalismo

Dunque, la crisi economica. Diverse ricette, ripresa ancora lontana dall’essere intravista, nazioni sull’orlo della bancarotta: «Le cose giungeranno ad una fine quanto il sistema economico mondiale collasserà – è la previsione del giornalista inglese -. Il processo di purificazione potrebbe sfociare in qualcosa addirittura peggiore di adesso, come accaduto negli Anni ’30. Ma non c’è scampo. E spero che nel caso qualcosa di buona possa emergere dal male. Non possiamo andare avanti come siamo ora».

E se occorre indicare ancora meglio la sua posizione, fa riferimento alla famiglia: «Credo che il problema più grande sia che lo stato non si fida abbastanza delle famiglie nella crescita dei figli. I governi provano sempre di più a dire ai genitori come allevare i loro figli – e intervengono quando lo fanno “incorrettamente”. Lo stato ha già un grande peso nell’indottrinamento dei ragazzi: è un aspetto comunque di tutti i sistemi totalitari».

Si avverte già il coro delle sirene in lontananza.

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