Under Siege

David Cameron è ufficialmente un Primo ministro accerchiato. Da un lato ci sono i sondaggi, in picchiata sia sul versante del gradimento personale che nel confronto tra partiti; dall’altro gli scandali legati all’affare Murdoch. Se il sonno di molti pidiellini italici è disturbato dalle burlesque di Silvio Berlusconi, l’elettorato conservatore britannico si interroga sempre più perplesso sui rapporti esistenti tra il giovane inquilino di Downing Street e l’impero (del male) mediatico dello squalo Murdoch.

Forse è una bolla destinata a sgonfiarsi o forse (più probabilmente) emergerà quel che tutti immaginano: Cameron e Murdoch avevano frequentazioni costanti, così fitte da essere in grado di influenzare l’agenda politica del governo (il ministro della Cultura si è appena dimesso perché sospettato di aver favorito il gruppo di Murdoch nell’acquisto del 100% della piattaforma satellitare BSkyB) e di determinare favorevoli endorsement  del circo mediatico del magnate australiano (il Sun su tutti) in favore dei nuovi conservatori made in Notting Hill.

Tutta questa pressione para-giudiziaria in un paese abituato a veder dimettersi membri del governo per non aver regolarizzato le colf è sostenibile solo con il vento del consenso poderosamente a favore. Così non è e il quadro che l’opinione pubblica disegna è drammatico: poco prima dell’approvazione della finanziaria, Cameron otteneva giudizi positivi dal 44% degli inglesi e veniva bocciato dal 49%. Uno “spread” di -5 che avrebbe potuto rappresentare un buon punto di partenza per un premier che si trova ad affrontare una crisi economica senza precedenti e costretto ad approvare riforme davvero poco popolari.

Il flebile ottimismo pre-budget si è trasformato invece in un grido di terrore a finanziaria approvata: oggi il 63% degli inglesi giudica negativamente il primo ministro e il suo “net rating” è sprofondato a -31. Peggio di lui è riuscito a fare solo Gordon Brown nel 2007 e tutti sappiamo come sono poi finite le elezioni politiche di due anni dopo. C’è di più: l’aver sottovalutato la portata del caso Murdoch e l’aver con ostinazione difeso il suo braccio armato economico George Osborne fa dire al 76% degli inglesi che David Cameron non è in grado di comprendere la vita delle persone normali.

Non bastasse il giudizio dei sondaggi, a metterci il carico da undici c’è l’epitaffio con cui la backbencher conservatrice Nadine Dorries ha liquidato l’esperienza al governo del duo Cameron – Osborne definendo Primo ministro e Cancelliere dello Scacchiere «due arroganti posh boy». Parole che pesano come macigni sulla popolarità offuscata di un leader di governo che si prepara ad affrontare la tornata elettorale amministrativa più difficile da quando guida il centrodestra britannico. Tutta l’attenzione è concentrata sulla sfida di Londra dove l’uscente Boris Johnson è costretto a concedere la rivincita a Ken Livingstone.

I sondaggi indicano il conservatore in leggero vantaggio ma i principali osservatori considerano la partita londinese una classica situazione lose-lose per il governo in carica. Se rivincessero i labour tutti penserebbero ad un chiaro segnale in chiave nazionale e ad un rumoroso avviso di sfratto per l’inquilino di Downing Street. Se a confermarsi fosse l’eccentrico Johnson, Cameron sorriderebbe a metà. Boris rappresenta da sempre l’anima più genuina e politicamente scorretta del conservatorismo britannico: già direttore dello Spectator e influente editorialista del Telegraph ha preso le distanze da tempo dal Tremonti d’oltremanica George Osborne e ha giocato tutta la campagna elettorale su un’ambiziosa sfida anti-tasse.

La sua vittoria potrebbe segnare la fine dell’era della Big Society e del conservatorismo mite. E per gli elettori dei tories rappresenterebbe l’ancora di salvezza per provare a vincere, magari senza fardelli liberaldemocratici, le prossime elezioni politiche.

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