USA 2012 – 10. MICHIGAN

Questo articolo – pubblicato su Il Foglio – è il decimo di una serie dedicata agli swing states delle elezioni presidenziali Usa. Ecco i link agli articoli precedenti: Colorado, Nevada, Florida, North Carolina, Virginia, New Hampshire, Wisconsin, Iowa, Pennsylvania.


miIl Michigan è lo stato che dà i natali al Partito repubblicano così come lo conosciamo oggi. La prima vera convention, nel corso della quale prende finalmente vita una piattaforma programmatica e si nominano i candidati da presentare nelle liste del Gop, si tiene infatti nella città di Jackson, un centinaio di chilometri a ovest di Detroit. È il 6 luglio del 1854. Gli scissionisti democratici del Midwest si schierano contro l’espansione della schiavitù nei nuovi territori e annunciano la presentazione di candidati propri, sotto le insegne di un partito che si chiamerà Repubblicano. Non è un caso perciò che il Michigan rimanga solidamente repubblicano fino alla Grande Depressione. Dal 1856 al 1928, il Gop vince 18 elezioni presidenziali su 19. L’unica eccezione è la vittoria di Theodore Roosevelt nel 1912 davanti William H. Taft (repubblicano), quando l’ex presidente (repubblicano) si presenta con un ticket Progressive dopo aver perso le primarie (repubblicane) proprio contro Taft. Il margine di vittoria del Gop in questi anni e quasi sempre in doppia cifra, ma raggiunge picchi impressionanti nei primi anni del XX secolo: nel 1900 con William McKinley (+54% contro William Bryant); nel 1920 con Warren Harding (+60% contro James Cox) e nel 1924 con Calvin Coolidge (+62% contro John Davis).

Nel frattempo però il Michigan comincia a trasformarsi. Arrivano personaggi come Horace Dodge, David Dunbar Buick ed Henry Ford, personaggi che all’alba del secolo cambiano la fisionomia e la storia dello stato, concentrandovi tutta l’innovazione tecnologica dell’epoca, trasformando Detroit nella patria dell’automobile e attirando sulle rive dei Grandi Laghi milioni di immigrati, dal Sud come dall’Europa. La crisi del ’29 piomba su un Michigan molto diverso da quello del secolo precedente. E la Depressione sposta decisamente gli equilibri in campo: il Wolverine State si consegna a Franklin D. Roosevelt nel 1932 e nel 1936, anche se nel 1940 è uno dei pochi stati a votare (di misura) per Wendell Wilkie e nel 1944 regala i suoi 19 electoral votes (oggi sono tre di meno) a FDR per poco più di 20mila voti. Nel dopoguerra, il Michigan sembra lentamente tornare alla normalità repubblicana: Dewey batte Truman (di poco, +2%) nel 1948 ed Eisenhower batte Stevenson (di molto, +11%) nel 1952 e nel 1956. Ma i tempi sono maturi per un’altra serie democratica: nel 1960 Kennedy vince di misura contro Nixon (+2%); nel 1964 lo stato si adegua al landslide di Lyndon Johnson nei confronti di Barry Goldwater; nel 1968 Hubert Humphrey vince, addirittura comodamente (+7%), contro Nixon. Lo stesso Nixon si prende la rivincita nel 1972, quando strapazza McGovern con 500mila voti e 15 punti percentuali di distacco, inaugurando per il Gop una striscia positiva di cinque elezioni presidenziali che prosegue con Ford nel 1976 (+5% su Carter), Reagan nel 1980 (+7% su Carter) e nel 1984 (+19% su Mondale), Bush Sr. nel 1988 (+8% su Dukakis).

CARTINA-MICHIGAN

Con Clinton nel 1992 (+7% su Bush Sr. grazie all’aiuto decisivo del terzo incomodo, Ross Perot), i democratici tornano a controllare i voti elettorali dello stato. E lo fanno ancora in tutte le elezioni più recenti: Clinton nel 1996 (+13% su Dole), Gore nel 2000 (+5% su Bush Jr.), Kerry nel 2004 (+3% su Bush Jr.). Infine Barack Obama, che nel 2008 sconfigge John McCain, conquistando il 57% dei voti contro poco più del 40%. Un margine notevole, non del tutto atteso all’inizio della campagna elettorale, quando il feeling tra il futuro presidente e lo stato sembra bruscamente spezzato dalle polemiche procedurali che portano Obama a eliminare il proprio nome dalla competizione per le primarie. Il consenso nei confronti di Obama cresce gradualmente nel corso della campagna elettorale, soprattutto grazie alla mobilitazione dei sindacati dell’industria dell’automobile. La crisi porta con sé lo scontento del ceto medio e operaio, che incolpa l’amministrazione uscente per lo stato disastroso dell’economia. Il sentimento anti-repubblicano sembra così forte che all’inizio di ottobre McCain decide di rinunciare a far campagna in Michigan, concedendo di fatto lo stato a Obama. Il passo indietro viene molto pubblicizzato dall’avversario e contribuisce a dare lo sprint decisivo alla propaganda democratica.

Un risultato, quello delle presidenziali, che arriva alla fine di un decennio in cui lo stato premia la sinistra in nove delle ultime dieci elezioni. Poi, però, nel 2010 il Gop rialza la testa. Dopo un doppio mandato democratico con Jennifer Granholm, il Wolverine State sceglie infatti di nuovo un governatore repubblicano (Rick Snyder eletto nel 2010 e attualmente in carica) e regala sempre ai repubblicani, che già controllavano il Senato, anche la maggioranza alla Camera locale. Un trend che fa sperare i conservatori di avere una chance per riconquistare lo stato anche a novembre. Ma analizziamo il terreno dello scontro nel dettaglio. Geograficamente, il Michigan è composto da due penisole collegate dal Mackinac Bridge e bagnate – da est a ovest – da ben quattro dei cinque grandi laghi: Erie, Huron, Michigan e Superiore. Nella Upper Peninsula, che soltanto acqua particolarmente gelida separa dal Canada, nessuno dei due partiti prevale nettamente sull’altro (a parte un paio di contee orientali in cui il GOP arriva spesso vicino al 60%). Nella Lower Peninsula, i repubblicani superano spesso il 60% e arrivano a sfiorare il 70% nelle contee del nord (Antrim, Otsego, Missaukee) e dell’ovest (Ottawa, Allegan), oltre che nelle zone più rurali dello stato, specialmente nell’area intorno a Grand Rapids. Riescono a ottenere buoni risultati anche in alcune aree dei sobborghi di Detroit, in particolare nelle zone residenziali più ricche come Grosse Point, Bloomfield Township, Northville Township, Novi e Rochester Hills.

Come sempre, invece, i democratici hanno la meglio nelle aree urbane, in particolare a Saginaw, Flint, Ann Harbor e – naturalmente – Detroit. Nelle contee in cui risiedono queste due ultime città (rispettivamente, Washtenaw e Wayne), votano più di un milione di elettori (un quinto del totale). E qui, più che in ogni altra parte degli Usa, vale la regola delle città liberal: gli analisti sostengono che un candidato democratico può permettersi di perdere in ogni altra parte del Michigan, ma portare a casa ugualmente i suoi voti elettorali semplicemente conquistando le quattro “pesantissime” città. La vittoria di Kerry alle elezioni del 2004 è la rappresentazione perfetta di questa teoria. Solitamente, però, i democratici non si accontentano delle città e conquistano consensi anche in alcuni sobborghi. Soprattutto quelli in cui vive la classe operaia di Detroit, come Lincoln Park e Eastpointe. Oppure dove si registra un’alta concentrazione di afro-americani (come a Southfield, Oak Park e River Rouge). O altri ancora, come West Bloomfield Township e Farmington Hills, che contano una popolazione mista ebrea e afro-americana. Anche i sobborghi del Woodward Corridor (dal nome della strada che parte dal centro di Detroit e finisce nella città di Pontiac) come Royal Oak, Berkley, Ferndale, e Huntington Woods rappresentano zone ad alta concentrazione di elettori del partito democratico. Ci sono poi zone dove vivono in maggioranza famiglie del ceto medio, come Sterling Heights e del ceto medio basso, come St. Clair Shores e Allen Park, che continuano a essere competitive per entrambi i partiti e nei quali la battaglia è all’ultimo voto.

Queste sono regole generali. Ma analizzando in dettaglio il quadro del 2008 si notano tinte decisamente più marcate. I numeri della vittoria di Obama sono infatti particolarmente impressionanti. Nella contea di Wayne (cui appartiene appunto Detroit) Obama vince con un rapporto di tre voti a uno. Le roccaforti democratiche di Washtenaw (dove si trovano Ann Arbor e l’università del Michigan), Ingham e Genesee assicurano al candidato democratico percentuali di voto che vanno dal 65% al 70%. Persino nella contea di Macomb, dove McCain concentra gran parte dei suoi sforzi prima di abbandonare la corsa, il voto democratico supera di un comodo 9% il voto repubblicano. Il Gop collassa anche nella contea di Oakland, un tempo bastione incrollabile per i conservatori e incassa un distacco a doppia cifra, di ben 15 punti. Il disastro è tale che McCain riesce a vincere solo in due contee con un margine superiore ai 10mila voti.

Quest’anno, dunque, per strappare il Michigan a Obama, il partito repubblicano non potrà accontentarsi di riconquistare le sue tradizionali roccaforti, ma dovrà aumentare di almeno un centinaio di migliaia di unità anche i propri voti nelle zone urbane. Sul un’ipotesi del genere gli analisti sono divisi. Chi non crede che la superiorità di Obama possa essere davvero intaccata, basa le sue deduzioni su un paio di osservazioni. Prima fra tutte lo slittamento del Wolverine State verso i lidi democratici, che dipende soprattutto dalla lunga crisi dell’industria dell’auto e dalla forte sindacalizzazione dell’area. Con l’aggiunta della “narrativa obamiana” sul successo del bailout. Il Michigan può vantare il titolo di quinto stato più sindacalizzato dell’Unione: più di 800mila residenti (il 19,6% del totale) sono iscritti al sindacato. Adesione che negli Stati Uniti è meno automatica che in Italia (chi si iscrive lo fa con convinzione) ma altrettanto politicizzata (anche qui vale il meccanismo di cinghia di trasmissione per il voto a sinistra). Sono voti (e macchina per produrre altri voti) schierati fedelmente con Obama. Altrettanto si può dire per la popolazione afro-americana, che nel 2008 lo votò nel 97% dei casi e che rappresenta qui il 14% della popolazione e il 12% degli elettori.

Qualche dubbio in più può essere sollevato sulla fedeltà dei giovani sotto i 30 anni, che nel 2008 votarono per Obama in rapporto 2 a 1, ma che quest’anno sembrano molto più freddi nei suoi confronti. Anche perché in Michigan il tasso di disoccupazione è ormai da qualche anno al di sopra della media nazionale. E, se nel 2008 elezioni la colpa veniva fatta ricadere sull’amministrazione repubblicana uscente, c’è il rischio che quest’anno si giochi a parti invertite. 

(10/continua. Nella prossima puntata: l’Ohio)

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