Germania, perché i liberali hanno perso

BERLINO – L’uscita dei liberali dal parlamento tedesco  ha segnato una cesura storica per la Bundesrepublik. Assieme a Cdu e Spd, la Fdp (Freie Democratische Partei, partito liberal democratico) ha rappresentato un pilastro della ricostruzione della Germania dopo il nazismo, accompagnandola attraverso il consolidamento democratico, il miracolo economico e la riconquista di un ruolo dignitoso nel consesso internazionale.

FDP, AGO DELLA BILANCIA.  Ago della bilancia fra i due partiti di massa cristiano-democratico e socialdemocratico, ha spesso determinato gli equilibri politici del Paese, alleandosi ora con una ora con l’altra forza politica, accompagnando loZeitgeist  del momento e fornendo una solida base di liberalismo al sistema politico tedesco, stemperando gli eccessi statalisti dei due partiti maggiori.
È stata la forza politica che ha collezionato il maggior numero di anni al governo, più di Cdu e Spd: dai gabinetti di Konrad Adenauer e Ludwig Ehrard a quelli di Willy Brandt e Helmut Schmidt, fino a quelli guidati da Helmut Kohl e Angela Merkel, non c’è stato momento chiave della storia politica tedesca in cui la Fdp non sia stata presente e spesso determinante.

I TEMPI DEL MURO.  Anche nella fase della caduta del Muro e della riunificazione tedesca i liberali si sono ritagliati un ruolo decisivo: resta indelebile nella mente di tutti i tedeschi la spedizione dell’allora segretario e ministro degli Esteri Hans-Dietrich Genscher all’ambasciata della Repubblica federale di Praga, nel 1989, dove si erano rifugiati migliaia di profughi della Ddr, dove mediò e ottenne il loro trasferimento nel territorio della Repubblica di Bonn. Ora questo pezzo di storia tedesca è in frantumi, appena quattro anni dopo aver conquistato sotto la guida di Guido Westerwelle il miglior risultato di tutti i tempi: il raffronto con quel dato elettorale ingigantisce ancor più la miseria di oggi, dal 14,6 al 4,8% sono quasi 10 punti percentuali in meno, 93 seggi parlamentari volatilizzati in un colpo. Una débâcle.

Nel partito sono iniziate a rotolare le teste. L’intero gruppo dirigente ha annunciato le dimissioni, a partire dal giovane e impalpabile leader Philipp Rösler fino all’anziano Rainer Brüderle, il combattivo capogruppo che ha guidato le liste alla disfatta. Toccherà molto probabilmente a Christian Lindner, 34enne capo del partito nello strategico Land del Nord Reno-Vestfalia, rimettere assieme i cocci e riconquistare ai liberali un posto al sole. Sembrerebbe l’uomo giusto: abile e determinato oratore, gli è già riuscito di risollevare dal baratro la sua frazione nella regione più industrializzata del Paese.

IL FALLIMENTO DEL NEOLIBERISMO.
  «La Fdp ha sofferto negli ultimi anni principalmente due fattori», ha commentato la  Frankfurter Allgemeine Zeitung, «l’appannamento della sua proposta politica e una classe dirigente non all’altezza. Due debolezze che si sono unite e rafforzate a vicenda. Non si può dire che i liberali abbiano completamente abbandonato i loro principi fondanti dell’economia di mercato, ma è come se non ci avessero più creduto e non li avessero più sostenuti né nell’azione di governo, né in campagna elettorale».
Il particolare momento storico non ha giocato a loro favore: la crisi finanziaria internazionale ed europea ha connotato negativamente il concetto di neoliberismo, un’etichetta che i liberali si sono ritrovati appiccicata addosso. Ma il partito, invece di rimanere fermo sui suoi principi e spiegare con forza le sue idee se ne è allontanato, smarrendo se stesso e il suo tradizionale bacino elettorale.

IL «TRADIMENTO» DEGLI INDUSTRIALI.
  Mai come in queste elezioni il consenso del mondo industriale e delle professioni si è sentito più attratto e rassicurato dalla figura di Angela Merkel. Le prime analisi sugli spostamenti elettorali hanno confermato la straordinaria emorragia di voti in direzione Cdu: oltre 2 milioni e 200 mila elettori, contro i 520 mila passati alla Spd e i 450 mila agli eurocritici di Alternative für Deutschland.

GLI ERRORI A CAUSA DEL FLOP.
  Gli errori sono stati compiuti nell’arco di tutti i quattro anni di governo: la Fdp non è stata in grado di imporre la riduzione della pressione fiscale, il marchio di fabbrica del successo elettorale del 2009, e si è avvitata in un’autodemolizione della dirigenza politica culminata nella defenestrazione di Westerwelle. Ma i nuovi leader emersi vincitori dalla faida interna non hanno portato chiarezza né nuovi impulsi.

Eppure il quadro politico elettorale aveva fornito ai liberali un’autostrada sulla quale correre per riacciuffare almeno la soglia del 5%, con lo slittamento a sinistra di quasi tutti i partiti: la Spd per inseguire il suo zoccolo duro, i verdi incapaci di dare corpo al progetto di conquista dell’elettorato borghese e la Cdu desiderosa di occupare lo spazio politico di coloro che dallo Stato pretendono anche tutele sociali. «Quell’autostrada esiste ancora», ha concluso il quotidiano di Francoforte, «e il nuovo gruppo dirigente ha quattro anni di tempo per rimettere il partito in piedi. E la situazione disastrosa di oggi potrebbe rivelarsi alla fine un vantaggio e rendere più facile un nuovo inizio: il futuro leader Lindner avrà carta bianca per rimodellare programmi e uomini. Deve solo trovare il coraggio di farlo».

Tratto da ” Lettera43

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