L’impresa impossibile di Trump. 1/Minnesota Set09

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L’impresa impossibile di Trump. 1/Minnesota

Premessa. Le Elezioni Presidenziali Statunitensi 2020 hanno rischiato seriamente di non svolgersi regolarmente, non a causa della pandemia dovuta al Covid 19, ma perché ancora non si era aperto ufficialmente il dibattito su The Right Nation! Dopo aver letto le ragioni di Simone Bressan sul perché votare (idealmente) “No” alla rielezione Donald J. Trump e del perché, invece, votare “Sì” (sempre idealmente) secondo Andrea Mancia, cercherò di esaminare le reali possibilità di vittoria da parte del Presidente in carica.

Facciamo un piccolo passo indietro, alla notte tra l’8 e il 9 novembre 2016, dove il corso della storia moderna della politica americana ha subito un brusco scossone dovuto alla (da tutti) non pronosticata vittoria di Donald J. Trump ai danni della super-favorita Hillary Rodham Clinton. In nessun modo, qualsiasi opinionista (pur per fazioso che fosse), avrebbe mai potuto immaginare di ritrovarsi colorate di rosso le cartine statali del Michigan, Wisconsin e della Pennsylvania. Molto difficilmente si sarebbe potuta pronosticare la Florida “red state”, un testa a testa in New Hampshire (rimasto Democrat sul filo di lana). Difficile da prevedere una vittoria così risicata della Clinton in Minnesota (46,4% a 44,9%) e Nevada (47,9% a 45,5%), ma anche quella “sottotono” di Trump in Georgia (+5,1% – nel 2012 Romney +7,8%) e Arizona (+3,5% – nel 2012 Romney +9,1%).

Conta dei grandi elettori: Trump 306 – Clinton 232.

Voto popolare: Trump 62.985.106 (45.9%) – Clinton 65.853.625 (48.0%).

 

Come potete notare in California, nella sola contea di Los Angeles c’è stato uno scarto di 1.700.000 voti in favore della Clinton (72% a 22%) e, nello stato di New York, nelle sole contee di Brooklyn (+500,000 voti per la Clinton, 79,5% a 17,5%) e Manhattan (+500.000 voti per la Clinton 86,6% a 9.7%!) 1.100.000 voti di vantaggio per l’ex Segretario di Stato del primo mandato Obama. Una sorta di “mainstreamland” che da sola ha portato un +2.700.000 voti alla Clinton nel voto popolare. (Di quest’ultimo ci hanno raccontato come sia più importante rispetto ai “grandi elettori” e di come sia antidemocratica una legge elettorale che tenga conto del parere di ogni singolo stato dell’Unione. Sic!)

Come porsi davanti al nuovo scontro elettorale, senza per forza rimetterci la faccia ipotizzandone l’esito finale? Non è semplice, ma ci proviamo. In quelle che si potrebbero definire senza problemi le elezioni più anomale degli ultimi decenni, nelle quali ci sono numerose variabili da considerare in relazione al risultato elettorale. Dal voto per posta o al seggio (a novembre il virus consentirà di votare regolarmente?), agli scontri razziali in atto con le vivaci proteste dei ‘Black Lives Matter’, alla “cancel culture”; dal “defund police”, fino alla disoccupazione e il tentativo di risollevare un’economia che fino a marzo era in fortissima espansione, ma che inevitabilmente ha subito un brusco stop dovuto ai lockdown statali.

Partendo da quest’ultimo punto, possiamo constatare come la curva degli occupati stia rialzandosi più velocemente del previsto, dopo il tremendo crollo di aprile e maggio. Un tasso di disoccupazione attuale dell’8,4%, che è distante dal 3,8% di marzo, ma è decisamente una boccata di ossigeno (per il Paese e l’amministrazione Trump tutta) rispetto a quella di maggio, che si attestava al 14,7%. Per quanto concerne, invece, le manifestazioni pacifiche in molti casi, violente in troppi altri, dei BLM, Antifa e compagnia cantante, lo scontro ideologico dei due schieramenti potrebbe portare ad una radicalizzazione del voto. Da una parte il Partito democratico appoggia in maniera non tanto velata il “defund police” nato nelle piazze più calde delle proteste. Da Minneapolis (città teatro della vicenda Floyd), a Portland, da Seattle a New York City. Dall’altra il motto tanto caro a Nixon, “Law&Order”, che il Presidente Trump ha rispolverato e ripete come un mantra da settimane.

Minnesota.

Partiamo dall’epicentro di questo terremoto politico-sociale, scaturito dall’uccisione di George Floyd da parte della polizia di Minneapolis: il Minnesota. Non è intenzione di chi scrive entrare nei dettagli ed esaminare compiutamente la vicenda Floyd, ma esclusivamente cercare di esaminare cosa bolle in pentola nel “Land of 10,000 Lakes”.

Come già scritto, alle legittime manifestazioni di protesta pacifiche (avvenute in piene lockdown, senza aver bisogno di firmare una giustificazione per uscire di casa…), si sono scatenate tante altre non proprio concilianti. Zone autogestite e occupate all’interno dei centri abitati, devastazioni, furti e minacce a spettatori imparziali, hanno avvelenato un clima surriscaldato già da numerosi altri problemi di tipo economico e sanitario.

Il Minnesota è colorato di blu alle presidenziali ininterrottamente dal 1972 (secondo mandato Nixon…). È uno stato del midwest che ha un rapporto quasi ancestrale con il Partito democratico, che qui ha perfino un’altra denominazione: The Minnesota Democratic-Farmer-Labor Party, in italiano suonerebbe più o meno come il Partito democratico dei contadini e dei lavoratori. Una fusione politicamente pragmatica tra il Partito Democratico e il Farmer-Labour Party più di sinistra avvenuta nel 1944, dando una casa agli elettori liberal e contribuendo a consolidare una vena progressista nello stato. Hubert Humphrey è il volto dietro la fusione. Un carismatico professore di scienze politiche che sarebbe poi diventato senatore e vicepresidente degli Stati Uniti. Ma Orville Freeman, che divenne il primo governatore del DFL dello stato nel 1954, fu la forza organizzativa dietro il nascente partito, portando accademici, femministe e veterane nella coalizione e ospitando eventi che diffusero la base del nuovo partito in tutto lo stato.

Una connotazione ben marcata quindi, molto affine alla realtà socialista europea della prima metà del ‘900. Non a caso i più grandi gruppi etnici del Minnesota sono tedeschi americani, al 33% della popolazione, e norvegesi americani, al 15%. Quasi un quarto dei dipendenti del Minnesota sono membri di un sindacato e i “blue collar” sono da sempre fedeli Dems.

Qualcosa però è cambiato nel 2016. La composizione del voto alla quale eravamo abituati si è quasi riallineata tra urbano e suburbano. L’eccezione la fa, come al solito, l’area metropolitana. Le ‘Twin Cities’ Minneapolis-Saint Paul (contee rispettivamente di Hennepin e Ramsey) sono state colorate di un blu cobalto. Nella contea di Hennepin (Minneapolis) la Clinton ha vinto con uno scarto di 238.000 voti (63,1% a 28,2%), andando a migliorare lo score del 2012 di circa 6mila voti, Trump ne ha presi invece quasi 50.000 in meno di Romney nel 2012. Nella contea di Ramsey (Saint Paul) lo scarto per la candidata Dem è stato di più di 100.000 voti (65,1% a 26%). In un Stato in cui la Clinton è riuscita a vincere solamente di 1,5% (meno di 44.000 voti), rispetto al + 7,7% di Obama su Romney (220.000 voti)…

È l’area del “Great Minnesota” che si è colorato maggiormente di rosso, fino alle zone rurali del nord-ovest. In totale 19 contee di queste zone sono passate dai democrat al GOP.  Le aree a nord-est dell’Iron Range, terra di miniere e minatori, invece hanno mantenuto la loro tendenza nel votare DFL. Le contee di Saint Louis, Lake e Cook hanno, infatti, consegnato complessivamente 14.000 voti in più alla Clinton (dai 36k in più per Obama…).

In cosa dovrà sperare Donald J. Trump per conquistare i 10 grandi elettori del Minnesota? Innanzitutto consolidare la tendenza nell’area del Great Minnesota, non sarà semplice, ma l’obbiettivo è rimanere sui livelli del 2016. Cercare poi di conquistare l’Iron Range e, soprattutto, accaparrarsi più voti possibili nell’area metropolitana di Minneapolis e Saint Paul. Basterebbe tornare sui livelli di Romney nel 2012, che raccolse 65.000 voti in più rispetto a Trump nell’area metropolitana per poter ambire alla vittoria.

Ed è proprio a Minneapolis che il GOP sta tentanto il tutto per tutto, con una campagna porta a porta, con la quale stanno denunciando l’escalation delle proteste contro la polizia, accusando il governatore dello Stato Tim Walz, di non essere in grado di far mantenere l’ordine pubblico nelle strade e il DFL di voler procedere con il “Defund Police”. E qui le noti dolente per il partito dell’asinello… Da una parte il candidato dem alla Casa Bianca Joe Biden è volutamente ambiguo sulla questione, dall’altra i rappresentati del DFL cercano di allontanarsi il più possibile dall’idea di sostenere apertamente il defund, perché hanno paura di perdere voti.

Il governatore Tim Walz si è detto contro il “Defund Police”, ma nei fatti ha cercato di riformare il dipartimento di polizia di Minneapolis e di tagliare i fondi statali alla polizia. Candidati locali come il senatore statale Matt Little, eletto 4 anni fa, per 268 voti, nel 58°distretto (contee di Dakota e Goodhue, poco a sud di Minneapolis), molto vivace sui social per accaparrarsi il voto della Generazione Z, ha dichiarato a fine agosto con un post su Facebook, che i volantini del Partito Repubblicano del Minnesota sono falsi, in quanto “Non appoggio il defunding o lo smantellamento del dipartimento di polizia“. Dello stesso tenore il candidato al Senato del DFL Aric Putnam nel 14° distretto (vinto per un soffio nel 2016 dal repubblicano Jerry Relph), professore alla Saint John’s University, ha dichiarato che: “invece di minare la polizia o smantellarla, dovremmo aiutarli a ripristinare la fiducia con le comunità”. Aleta Borrud, candidata DFL al senato statale nel collegio 26, a Rochester (qui Carla Nelson del GOP ha vinto nel 2016, 56% a 44% contro il democrat Rich Wright), è sulla stessa linea d’onda dei colleghi: “Di certo non sono a favore del defunding della polizia”, però su tematiche sociali delicate, sarebbe opportuno che la polizia lavorasse fianco a fianco con i servizi sociali.

Un recente sondaggio Reuters/Ipsos ci dice che “solo l’8% degli adulti americani ha indicato la criminalità come una priorità assoluta per il paese, rispetto al 30% che ha affermato che era l’economia o il lavoro e il 16% che ha affermato che era il sistema sanitario. E il 62% degli elettori registrati, compreso il 62% dei democratici e il 65% dei repubblicani, ha affermato che la criminalità non è in aumento nelle loro comunità”.

La sensazione è però che in Minnesota la tematica sia centrale e decisiva, per questo motivo il Partito Repubblicano qui ha la possibilità di vincere (in uno stato che per forza di cose dobbiamo definire toss-up), regalando 10 grandi elettori che potrebbero essere decisivi nell’esito finale delle elezioni presidenziali.

(1/Continua)

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