Telefoni a casa

“Telefoni a casa e dica che stasera lei non torna”. Ci sono frasi che racchiudono tutti i tratti della minaccia, soprattutto se a pronunciarle sono quelli chiamati ad applicare la legge. La favola che in Italia la magistratura sia del tutto indipendente dalla politica è, appunto, una favola. Già nel corso degli anni ’50 membri del corpo diplomatico del Vaticano avvertivano le autorità italiane che somme di rubli arrivavano dall’Unione sovietica per garantire ai giovani universitari comunisti di proseguire gli studi in giurisprudenza, al solo scopo di fare carriera nel potere giudiziario della repubblica. Ma se questa chiave di lettura può risultare eccessivamente partigiana, veniamo allora al lato pratico.

L’esclamazione riportata all’inizio è stata riferita da una persona che negli anni di Tangentopoli venne interrogata, pur non essendo indagata o con capi d’accusa a suo carico, perché svelasse de segreti su una terza figura coinvolta negli scandali di allora. Davanti a lui, in una stanza del tribunale milanese, c’erano i pm del famoso pool. Che di fronte a risposte come “ma io non so niente di tutto questo”, passarono alle minacce: “Va bene, allora senta: chiami i suoi e gli dica che questa notte non tonerà a casa”.

Non sono leggenda le lacrime di Romano Prodi torchiato da Antonio Di Pietro in qualità di presidente dell’IRI: per sopportare la pressione bisogna avere una tempra non da ridere. Non sono leggenda i suicidi di chi finì coinvolto in un affare con il quale non avevano niente da spartire, come insegna il caso Moroni. Quando i pubblici ministeri italiani intraprendono una strada, non la abbandonano più dal momento che, da noi, non è l’accusa che deve dimostrare la colpa, ma è la difesa a doversi far carico di dimostrare l’estraneità da ogni fatto. In Italia bastano gli indizi per essere marchiati e, in quest’ottica, assumono una logica le intercettazioni e i documenti secretati che magicamente appaiono sui mezzi d’informazione. Prima che una sentenza, deve essere l’opinione pubblica a pronunciarsi, avvalendo in questo modo la sentenza stessa di condanna. E se si venisse scagionati, il segno rimane. Comunque.

“Dunque lei dice di aver sentito che…”. Sono le supposizioni a fare da corollario nella testimonianza raccolta tra una chiacchiera e l’altra, nonostante le immediate negazioni. “No, io non dico niente. Io non ho sentito niente!”. “Se le cose stanno così, allora chiami casa”.

 

Luca Caffettieri, 25 anni, prima promessa dello sport, poi imprenditore. Ha ripiegato sul giornalismo solo quando si è accorto che l’azienda agricola di famiglia non andava così bene come sembrava. Liberale texano, sogna di ritornare a calcare i campi verdi della sua disciplina preferita. Nel mentre, scrive di politica, gossip, cronaca giudiziaria. Approda a The Right Nation dopo una lunga militanza in Notapolitica.

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