Obama’s Rebirth?

Con un job approval nuovamente al di sopra della soglia del 50% e una reazione molto positiva al suo discorso sullo Stato dell’Unione nei sondaggi di CBS News e di CNN (ne dubitavate?), Obama sembra aver iniziato nel modo migliore la seconda parte del suo (primo?) mandato. Malgrado la scocciatura provovata dal leak del National Journal (mai fidarsi degli amici), la presunta virata del presidente verso il centro sembra avere colpito positivamente gli americani ed eccitato oltremisura i media, veri “padroni” dell’amministrazione, nel bene e nel male.

Non tutti, però, si fanno ingannare dalla patina clintoniana con cui Obama sta cercando di evitare il disastro nel 2012. Al di là delle apparenze, infatti, di sostanza ce n’è davvero poca. Jennifer Rubin, nella sua rubrica-enclave sul Washington Post, si chiede che fine abbia fatto la tanto attesa svolta centrista del presidente. A parte la promessa di congelare le spese non strettamente necessarie (la difesa?), Obama ha fatto prevalere il suo dna keynesiano sulle opportunità tattiche. Questo, da un lato, gli fa onore. Dall’altro dimostra, per l’ennesima volta, come il presidente non comprenda lo spirito profondo dell’America e le sue inclinazioni, per così dire, filosofiche.

L’orgia di spesa pubblica del 2009 ha fallito clamorosamente, senza accelerare la ripresa e senza ridare fiato all’occupazione. Non sarà certo replicando lo stimulus che Obama può pensare di convincere gli indipendenti e i moderati che lo hanno votato per poi abbandonarlo dopo aver preso atto della sua politica economica. Un’operazione complicata e rischiosa come la “triangolazione” di Clinton (progettata da Dick Morris), può funzionare una volta (quando l’avversario non se l’aspetta), ma rischia soltanto – se ripetuta senza creatività – di alienargli la base progressive del partito.

Una notazione a parte, poi, lo merita il delivery del discorso. Siamo, a mio avviso, distanti anni-luce dalle vette oratorie a cui Obama ci aveva abituato (soprattutto durante la campagna elettorale del 2008). Sono certamente poco obiettivo, ma ho assistito ad uno speech piatto, poco ispirato e troppo “misurato” per essere convincente fino in fondo. Non basta chiamare “investimenti” le “spese” per cambiare la sostanza del problema. E per una volta ha ragione Newsweek: storicamente, l’impatto dei discorsi sullo Stato dell’Unione nel medio periodo è praticamente nullo. Sarà il tasso di disoccupazione tra un anno a decidere le elezioni del 2012, non certo il grado d’eccitazione dei media per il “nuovo Obama”.

UPDATE. Ralph Reed, sulla National Review, trova le parole giuste: “Cognitive dissonance”.

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