Made in Fvg

[disclaimer/ post rigorosamente localista, forse criptico, certamente lungo. Astenersi perditempo.]

C’è fermento nel Pdl più a nord-est che la penisola conosca. Il Friuli Venezia Giulia è stato da sempre un piccolo laboratorio politico dove testare alchimie. Lo è stato per la Casa delle Libertà riunificata qui per la prima volta dopo lo strappo leghista del 1994 e lo è stato per Riccardo Illy, fulgido esempio di quel civismo di sinistra capace per qualche anno di stregare l’Italia. Illy, Ceccotti, Bolzonello hanno rappresentato sintesi prima impensabili, tanto a queste latitudini che all’ombra dei palazzi romani. Poi Berlusconi ha rovesciato il tavolo, ha vinto le elezioni spazzando via qualsiasi cosa e l’onda lunga del Cavaliere si è portata via Illy, i listini del Presidente, il brand prestato alla politica e tutto il resto.

La storia si ripete, non sempre uguale, magari simile. Così, con il Pdl nazionale in piena crisi di identità, quassù si sperimenta, si scompone per ricomporre, si provoca. Lo fanno in primis Massimo Blasoni, Blasoni, Roberto Novelli e Paolo Santin,  i tre ragazzi della “Leopoldina” friulana: affittano un cinema, mettono lì tre temi (territorio, legge elettorale, partito rinnovato) e chiamano la gente a parlare. Tre minuti a testa e via, per provare a ripartire.

Anche Luca Ciriani, in quel di Pordenone, cerca di agganciare il treno del cambiamento e lancia il suo “Pdl della gente”. Un po’ meno innovativo dei leopoldini, nei temi e nei metodi, ma il senso dovrebbe essere più o meno lo stesso.

E’ un bel vedere, dopo anni di caos calmo e di scarsissima elaborazione politica. In Italia il Pdl ha un milione di tesserati, un bacino potenziale di 17-18 milioni di elettori e praticamente nessuno che faccia una proposta politica oltre il mantra classico del “speriamo che Berlusconi ci faccia vincere”. Se parte da qui, da Udine e Pordenone, sarà comunque molto positivo.

Nel merito, però, alcune cose vanno dette. Così com’è il Pdl non funziona. E non fatela diventare una cosa di Tizio contro Caio e a favore di Sempronio. Non funziona perché è in debito di ossigeno che in politica significa essere in debito di idee. Prendiamo il Friuli Venezia Giulia, tanto per rimanere in casa. Quali dovrebbero essere le quattro-cinque cose che contano per un partito come il nostro, quelle a cui non poter rinunciare? Io dico: merito, vocazione maggioritaria, sussidiarietà, fiducia nell’individuo, trasparenza.

Dovremmo essere il partito della Glasnost’ regionale (per la Perestrojka sono disposto ad attendere ancora un po’) e invece molto spesso ci siamo ritrovati impantanati nel politicismo che a parole condanniamo.  Abbiamo vinto una campagna elettorale promettendo meno assessori esterni (un classico dell’era Illy). Ne abbiamo nominati sette su dieci, finendo per determinare un effetto distorsivo nella rappresentanza per cui la nostra Regione ha oggi 67 consiglieri regionali e una testimonianza dei territori non sempre coerente.

Siamo partiti (giustamente) lancia in resta su debito pubblico e semplificazione della governance della macchina regionale. Poi ci siamo fermati, non portando a sistema le riforme e provando l’ultimo strappo con il discorso di fine estate di Renzo Tondo. La strada segnata dal Presidente è quella giusta, in linea con le avanguardie di questa regione e con le aspettative dei nostri elettori. Saranno in grado i partiti di sostenerla? C’è ancora un centrodestra capace di interpretare il coraggio delle riforme senza retropensieri di sorta?

Sono tutte risposte che vanno date in tempi rapidi, perché il 2013 è dietro l’angolo e i sintomi di fine legislatura si vedono tutti. Non possiamo permetterci, come accaduto in passato, di trasformare l’ultimo scorcio del quinquennio nel periodo in cui si elargiscono mance e si accordano privilegi a pezzi più o meno rilevanti del corpo elettorale. Non possiamo essere – e va detto senza furori personali contro qualcuno eppure con la dovuta schiettezza – quelli che si trovano a difendere il raddoppio di poltrone solo perché ci sono promesse che vanno onorate o alcune scelte sciagurate degli alleati solo perché o così o si va a casa.

Ci sono cose che non portano voti ma che vanno fatte. Nella convinzione che chi fa politica è chiamato a perseguire il giusto più dell’utile.  Spesso questi due aspetti non coincidono ed è qui che si vedono i grandi partiti.

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