Revolucion?

Il Foglio e l’amico Piero Vietti ci hanno chiesto due pensierini da buttare lì sul Manifesto per una destra non cazzona e sulla ri-discesa in campo di Silvio B.

Ci abbiamo provato, insieme ad altri illustri ospiti, e vi proponiamo le nostre (non definitive) riflessioni.

Ronald Reagan è diventato Presidente degli Stati Uniti a 70 anni e ha lasciato la Casa Bianca a 78. E’ stato, senza ombra di dubbio, il Presidente più rivoluzionario, comunicativo, dinamico. Ed è stato quello che più di ogni altro ha plasmato il Partito Repubblicano, segnandone i tratti essenziali anche negli anni a venire. Questo per dire che l’età non deve essere un metro di giudizio, né per Reagan, né per Berlusconi né per chiunque altro.

Il problema è, piuttosto, di prospettiva: cosa intende fare la destra italiana (e quindi Berlusconi) del proprio bagaglio di consenso, cultura, voti e storia politica?  Per ora Pdl, Lega, Udc, Fli e chi più ne ha più ne metta hanno pensato a tracheggiare, difendere o guadagnare rendite di posizione, tirare a campare. Non basta più ed è chiaro anche al più miope degli osservatori che senza una “Big Idea” il centrodestra non rinasce e non si risveglia dal torpore in cui lo ha cacciato il governo dei tecnici.

Al solito in questa fase nasce la tentazione di inventarsi qualcosa di nuovo, magari di esotico. Se poi magari ha un nome inglese tanto meglio. Ai tecnici piace molto, ad esempio, la “spending review” e così siamo certi che nelle stanze dei bottoni del centrodestra nazionale staranno rincorrendo qualche calembour verbale per la prossima campagna elettorale. Non ci stupiremo se dal cilindro uscisse la cameroniana “Big Society” o, peggio, se si tentasse qualche ammiccamento a sinistra per delineare una nuova forma di destra sociale molto attenta a fare welfare a colpi di spesa pubblica. Nel caso andasse così, prendetevi un bel pacco di pop corn e godetevi il declino: Titanic e Costa Concordia vi appariranno,di colpo, un esempio ben riuscito di come limitare i danni.

Se per converso albergasse in qualcuno la voglia matta di provare a rivincere le elezioni e, magari, a cambiare questo paese allora una soluzione c’è e non serve nemmeno guardarsi troppo in giro. Basterebbe ritornare a due fondamentali del centrodestra mondiale: l’individuo e la libertà. Chiunque riparta da lì ammettendo che non servono regole migliori ma meno regole, che non abbiamo bisogno di tasse più giuste ma di meno tasse, che non dobbiamo cercare un mercato più equo ma solo più mercato allora avrà fatto “bingo”. La sicumera compassata dei tecnici ci ha spinto su un piano inclinato pericoloso e ci ha fatto credere che il centrodestra possa essere la somma algebrica di rigore nei conti pubblici e grigia regolamentazione. Viviamo in questi mesi l’apice dell’antropologia negativa: il contribuente è un evasore che deve dimostrare la sua innocenza, l’imprenditore è un individuo che vuole indiscriminatamente licenziare e che va messo sotto tutela dai giudici, i ricchi sono persone che godono nel vedere i poveri star male e quindi devono pagare di più.

Serve un nuovo umanesimo: radicale, coraggioso, sfrontato. Che dica poche cose e con chiarezza. E che abbia la pretesa di riscattare il concetto di individuo, di libertà, di successo personale. Qualcuno nel 1994 c’era quasi riuscito, poi si è incartato tra i palazzi romani.  Ci riprovi lui o tenti l’impresa qualcun’altro ma sia chiaro da subito che o sarà un esperienza rivoluzionaria o semplicemente non sarà.

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