La sconfitta dei media

Nulla a che vedere con la sconfitta che Romney ha inflitto al presidente nel primo dibattito, a Denver. E’ stata una vittoria striminzita quella di Obama ieri sera, nel secondo match televisivo. Lo dimostrano anche i numeri dei sondaggi post-debate della Cbs, non esattamente un covo di repubblicani: 37 a 30% per Obama, con un 33% che ha visto un pareggio. Nessun dubbio, invece, sul fatto che Romney è sembrato di gran lunga più convincente di Obama sull’economia: 65-34%. Se l’impressione complessiva premia il presidente anche per la Cnn (46-39%), anche qui su tutti i principali temi economici i telespettatori hanno visto Romney più convincente (58-40% sull’economia, 49-46% sulla sanità, 51-44% sulle tasse e 59-36% sul deficit).

Anche se Obama ha forse centrato l’obiettivo minimo, quello di cancellare l’immagine di un presidente con le pile scariche, da pugile suonato e remissivo, trasmessa a Denver, non credo sia riuscito ad invertire il trend pro-Romney, al massimo ad arrestarlo. Ma l’aspetto più degno di nota del dibattito di ieri è senza alcun dubbio la scorrettezza della moderatrice. Il momento cruciale quando la giornalista della Cnn, Candy Crowley, ha confermato in diretta la versione falsa di Obama, salvando il presidente da un vero e proprio colpo da ko sull’attacco di Bengasi costato la vita all’ambasciatore Stevens (qui il video). Rispondendo alla domanda Obama ha mentito, dicendo che «the day after the attack… I told the American people (…) That this was an act of terror». Al che Romney ha replicato che «ci sono voluti 14 giorni prima che il presidente definisse l’attacco di Bengasi un act of terror». All’invito del presidente di prendere la trascrizione la conduttrice è intervenuta dando ragione ad Obama (e scandendo meglio su suo invito: «Can you say that a little louder, Candy?»).

Ma non è così: Obama ha in effetti pronunciato le parole «act of terror» in quel discorso al Rose Garden, ma in generale, di sicuro non come definizione della natura dell’attacco al consolato di Bengasi (qui la trascrizione), mentre anche la conduttrice ha concesso a Romney che per molto tempo l’amministrazione ha lasciato intendere che l’attacco fosse legato al video oltraggioso della figura di Maometto. Su tutti i siti italiani, ovviamente, è finito «lo scivolone di Romney sulla Libia», ma la notizia non è Romney che «balbetta», o che «si è fatto fregare», bensì la moderatrice che in diretta arriva ad avvalorare un’affermazione falsa di Obama pur di evitargli un colpo da ko. Cosa avrebbe potuto Romney, senza carte in mano, contro due (di cui uno in teoria imparziale) che affermavano il falso? Certo che il punto è andato a Obama, ma non si è trattato di un autogol di Romney, bensì di un rigore inesistente concesso a Obama da un arbitro di parte.

La Crowley come un’Annunziata qualsiasi, dalla selezione delle domande alle interruzioni, fino alla scena madre. Non ricordo un dibattito presidenziale condotto in modo così fazioso come quello di ieri. Un segnale davvero brutto per i media americani, sempre più incapaci di imparzialità, ormai persino nel condurre i dibattiti presidenziali. In tutti e tre quelli finora svolti un repentino cambio di argomento ha troppo spesso tolto Obama dall’imbarazzo e neanche nei tempi è stata rispettata la “par condicio” tra i candidati, come sottolinea Nardelli su Rightnation.it: Romney e Ryan hanno parlato per un totale di 119 minuti e 33 secondi, Obama e Biden invece per 128 e 26. Una differenza di ben 8 minuti e 53 secondi (42:50 a 38:32 nel primo dibattito, 41:32 a 40:11 in quello tra i vice, 44:04 a 40:50 nel secondo). E dinanzi alla screanzata partigianeria dei media Usa, la mancanza (ma non è una novità) di spirito critico e coraggio dei media e dei giornalisti italiani, persino quelli non di sinistra. Piuttosto che andare controcorrente, più a loro agio con le analisi paludate, più elegante lo sfoggio di terzismo.

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