Come vincere ancora
Cortina non è filosoficamente il massimo per lanciare la costituente di un partito “popolare”. Però è una tradizione del Pdl Veneto e ogni anno, qui, si gettano le basi della stagione politica che verrà. E’ stata una tre giorni certamente ricca di contenuti, probabilmente l’unico vero appuntamento politico del centrodestra nazionale, considerato che la scuola di formazione di Gubbio non esiste più e che Atreju è un gran bell’happening ma è pur sempre lo spazio dedicato al movimento giovanile.
Contenuti, dicevamo. Tanti, finalmente. Apre Sacconi il venerdì e chiude Alfano la domenica. Nel mezzo Brunetta, Frattini, Gelmini, Quagliarello e tanti altri. Non si può parlare di Pdl senza parlare di Berlusconi però va notato come per la prima volta si siano sentiti discorsi che guardano esplicitamente oltre.
Occorre evitare la sindrome tipica dei momenti di difficoltà e superare la tentazione di mettere la testa sotto la sabbia. Un problema c’è: di consenso, di rapporto con la società civile, di incisività dell’azione di governo. C’è anche un gigantesco problema di comunicazione, soprattutto su internet. Questo partito, insomma, è tutto meno che in salute.
Il malato lo conosciamo e parte della sua malattia si chiama Silvio Berlusconi. Perché è un bersaglio facile da colpire e perché qualche errore macroscopico lo ha commesso in prima persona, esponendo sé stesso, il governo e il centrodestra intero a rischi che non era salutare prendersi. Pensare di sostituirlo è realistico, pensare di buttare a mare tutto è autolesionismo puro. C’è un’eredità evidente di questi anni che rappresenta un sostanziale passo avanti nella traiettoria zigzagante che spesso ha assunto questo paese. Innanzitutto l’idea che il Premier venga scelto dagli elettori, in secondo luogo il rafforzamento di un modello in cui le coalizioni si decidono prima delle elezioni e non dopo. In termini di governabilità effettiva questo ha fatto sì che nella legislatura 2001-2006 ci sia stato un solo capo del governo e che in quella successiva – stabilita l’impossibilità per il vincitore di governare – si sia scelto di andare ad elezioni anticipate e di non ricorrere a governi e presidenti del consiglio non legittimati dalla volontà popolare. A chi rinfaccia gli scarsi risultati concreti ottenuti da questi esecutivi, bisognerebbe ricordare che una cosa è garantire una governabilità accettabile, altro è il livello della nostra classe dirigente.
E su questo livello dobbiamo porci l’interrogativo più grosso. Chi rappresenta il partito, sul territorio così come in Parlamento, quasi mai ha passato un minimo vaglio di consenso popolare. Uomini e donne che si sono visti paracadutati in ruoli apicali senza avere il benché minimo riscontro del potere che veniva loro attribuito o, ancora, perfetti sconosciuti con un seggio in parlamento soltanto perché amici di tizio o parenti di caio. Avviene anche negli altri partiti, sia chiaro, ma diciamo che nel Pdl questa pratica ha raggiunto esacerbazioni non più accettabili. A Cortina, con toni diversi, si è sentito questo. Ricette giuste per rivitalizzare un partito in evidente debito di ossigeno. Per colpa del suo leader, ma non solo.
Lo snodo che deciderà se riusciremo a rappresentare il riferimento dei tanti moderati silenziosi che ancora rappresentano la maggioranza di questo paese è tutto nella capacità di pensare un progetto che vada oltre Berlusconi. Senza abiure o improbabili prese di distanza fuori tempo massimo ma con la convinzione che occorra pensare in grande, darsi delle regole e rispettarle, introdurre meritocrazia e democrazia interna e ripartire dal nocciolo di ogni questione: crediamo negli individui prima ancora che in tutte le sovrastrutture che li circondano. Lasciamo ai nostri uomini e alle nostre donne la possibilità di scegliersi leader, dirigenti e linea del partito. Altrimenti quella dei moderati al governo rimarrà una parentesi infruttuosa della storia di questo paese, destinata a morire con la fine ormai segnata di Silvio Berlusconi.