Come sarebbe stato

«Marco dorme». «Mi faccia entrare in camera da letto». Sono state queste frasi dietro la porta, a svegliarmi poco prima delle nove. Non riuscivo proprio a capire. Davanti ai miei occhi, nella penombra, c’era una donna con la divisa dei carabinieri. E dietro di lei, altri quattro colleghi dell’Arma.

«Che succede?», ho chiesto proiettandomi fuori dalle lenzuola. «Abbiamo un ordine di perquisizione della Procura di Milano», mi hanno risposto. «Mi posso lavare la faccia?». È cominciata così una giornata da «non» dimenticare. Dunque, con tutta la mia famiglia mezzo stravolta intorno, mi sono visto presentare il decreto di perquisizione, firmato da un pm milanese. Disponeva di cercare sia a casa mia che nella redazione del Fatto Quotidiano atti di procedimenti della Procura della Repubblica di Milano «oggetto del reato». E cioè abuso d’ufficio. Dal documento risultava che non ero io a essere indagato, ma la mia presunta fonte (sul nome c’era un omissis ). Naturalmente, ho subito pensato all’articolo scritto sulla questione che riguardava il Presidente del Consiglio, ma non c’erano riferimenti. Prima di iniziare, i carabinieri mi hanno concesso di chiamare il mio legale. L’ho fatto, ma c’è voluta un’ora e mezzo prima che l’avvocato arrivasse. Mica tutti hanno legali veloci e puntuali come Ghedini o Pecorella. Intanto, hanno incominciato a rovistare nei cassetti della biancheria dei miei figli.

Le ore passavano. «Ci dia i documenti, così la finiamo qui: dove li ha nascosti?». Ho risposto: «Non ce li ho. Quello che fate è inutile». A un certo punto, mi hanno detto che dovevano fare anche la perquisizione «personale ». Non volevo capire, ma mi sono preoccupato seriamente quando ho visto uno dei carabinieri indossare i guanti di lattice.

Mi ha fatto entrare in un bagno e mi ha detto di spogliarmi. Mi sono tolto i vestiti. «Anche la biancheria intima ».Non volevo crederci. «Non penserete che nascondo documenti segreti nelle mutande? Manco fossi un delinquente… », è stata la mia flebile e inutile protesta. Rivedevo certe sgradevoli scene di film sui trafficanti di droga, visti tante volte a casa di Gianni Barbacetto. Forse potevo oppormi, ma in quel momento ero troppo confuso. Comunque, mi è sembrato davvero troppo. Intanto, i colleghi dell’Arma sequestravano il mio computer portatile, una serie di Moleskine di quelle che tengo ad Annozero e fogli sparsi che, chissà perché, a loro sembravano sospetti. Il fatto è che dove trovavano scritto «Procura della Repubblica di Milano», si allarmavano. Hai voglia a spiegare che da 15 anni mi occupo di giustizia per varie testate e sono accreditato alla Procura di Milano, quindi gran parte di quello che faccio per lavoro riguarda i tribunali. L’avvocato si è opposto ai sequestri e allora il tenente colonnello ha chiamato col cellulare la pm per chiedere conferma. Lei ha detto di portare via tutto. Loro, sempre gentili ma fermi, sono andati avanti. «Eseguiamo gli ordini ». Mio figlio si è disperato quando si è visto togliere il suo adorato computer. Ha protestato che era personale e io non lo usavo mai, nemmeno conoscevo la password per accedervi, figurarsi. Ma alla fine ha dovuto staccare lui stesso i fili e consegnarlo. Per cercare di riaverlo appena possibile, più tardi è venuto al comando dei carabinieri per far mettere a verbale tutto questo. Però, ci hanno anticipato che se va bene lo rivedrà almeno una settimana. In mezzo alle mie mazze da golf  non hanno trovato nulla, neppure negli album di fotografie in libreria e tra i prodotti da trucco in bagno. Ma non bastava. La perquisizione è proseguita in cantina e poi in ognuna delle nostre macchine.

Naturalmente, neppure l’ombra del corpo del reato. Finito a casa, mi hanno detto di seguirli al Fatto Quotidiano , dove un sesto carabiniere aveva già notificato il decreto del pm al capo della redazione. Poco prima di mezzogior-no, seconda perquisizione e nuovo sequestro, questa volta del mio computer al Fatto Quotidiano, insieme a un’altra agenda e ad altre carte (assolutamente ininfluenti, cercavo di spiegare). Ancora non era finita, malgrado a questo punto cominciassi a essere esausto. La terza tappa è stata al comando dell’Arma di via in Selci, per stendere un dettagliato verbale e catalogare tutti gli oggetti sequestrati. Altre ore, altro stress. Tra l’altro eravamo in una stanza della sezione omicidi, piena di faldoni sul ritrovamento di corpi carbonizzati e vari casi di assassinii. E mi sentivo sempre più fuori posto. Possibile che tutto questo succedesse proprio a me? E per che cosa poi? L’avvocato continuava a opporsi e a cercare di limitare i danni, ma si scontrava contro un muro inflessibile. Gli ordini del pm, prima di tutto. «Noi eseguiamo», dicevano, quasi scusandosi, i carabinieri. Sono uscito alle 16, finalmente libera . E appena fuori, mi sono acceso una sigaretta.

In piazza, a Milano e Roma, iniziavano le oceaniche manifestazioni del centrosinistra a difesa della libertà di stampa. Oggi, in edicola, troverete tutti i giornali listati a lutto per celebrare degnamente la vergogna di quanto accaduto. Domani manifesteremo tutti insieme fuori da Palazzo Chigi per far capire a tutti come stanno le cose.

Questo è un regime e ha il volto di Silvio Berlusconi.

Ovviamente quanto sopra è inventato di sana pianta. E’ toccato per davvero ad Anna Maria Greco e non c’è uno straccio di pseudo-intellettuale che abbia sentito il bisogno di indignarsi.

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